Bambino con avvoltoio, di Kevin Carter. La realtà dei fatti
In molti sicuramente conoscono questa foto ma in pochi sono a conoscenza della triste storia che si cela dietro questo scatto, che ha per lungo tempo sensibilizzato il mondo riguardo i temi di carestia, guerra e fame. Un bambino denutrito che si accascia a terra perchè le forze lo hanno ormai abbandonato, alle sue spalle un avvoltoio che aspetta pazientemente la sua morte.
La foto che ha fatto discutere tutto il mondo è stata scattata da Kevin Carter nel 1993 in Sudan. L’immagine, vince il premio Pulitzer, è una di quelle foto destinate a diventare icone nell’immaginario collettivo, diventandone il simbolo.
In Italia la foto è conosciuta con il nome di “Bambino con avvoltoio”. La fotografia del giornalista sudafricano che si era recato con una organizzazione umanitaria dell’Onu, divenne subito celebre, anche grazie alla pubblicazione sul New York Time il 23 marzo 1993.
Obiettivi di sensibilizzazione
L’obiettivo era quello di sensibilizzare il mondo sui temi della carestia e della fame, K. Carter era nato come fotografo sportivo ma le cose cambiarono quando arrivò in quei luoghi documentando quella realtà.
Insieme ad altri tre giornalisti Greg Marinovich, Ken Oosterbroek e Joao Silva si trovò spesso in mezzo alle sparatorie, rischiando la vita per documentare gli orrori della Guerra civile e le ingiustizie del periodo di Governo di F.W. De Klerk.
Riguardo quella foto vennero fatte molte critiche e insinuazioni. Carter come paradosso venne accusato di essersi disinteressato del piccolo dopo lo scatto, abbandonandolo al suo destino.
Ciò porto il fotografo a soffrire di depressione, a odiare profondamente quell’immagine. Nello stesso anno in cui vinse il Pulitzer, Carter si suicidò con il gas di scarico della sua auto , aveva solo 33 anni.
Ucciso dal rimorso lasciò una lettera (di seguito alcune sue righe):
“Sono depresso, senza soldi per l’affitto, senza soldi per i bambini! Sono ancora vividi i ricordi di quello che ho visto: bambini denutriti, violenza per le strade, stupri perpetrati dagli stessi poliziotti che dovrebbero portare la giustizia. Io me ne vado…”.
“Ero sconvolto vedendo cosa stavano facendo. Ero spaventato per quello che io stavo facendo. Ma poi le persone hanno iniziato a parlare di quelle immagini… così ho pensato che forse le mie azioni non sono state poi così cattive. Essere stato un testimone di qualcosa di così orribile non fu necessariamente un male”.
La realtà
Ma la realtà di fatto era ben diversa , come mostra la fotografia, il bambino portava al polso un braccialetto della missione Onu, nella quale lavoravano infermieri e medici.
Il piccolo venne assistito e sopravvisse fino all’età di 16 anni . (poi morì a causa di una grave malattia).
Il grande lavoro di Carter in Sudafrica nella metà degli anni Ottanta fu primario e di fondamentale importanza a mostrare le crudeltà della guerra civile: pistole puntate alla testa, omicidi a colpi di machete.
Fu per questo che nell’autore si creò un travaglio interiore che in seguito lo portò al suicidio, da un lato era sconvolto dalla crudezza delle immagini che ritraeva, dall’altro era consapevole che solo in questo modo poteva far accendere l’attenzione globale su una situazione disumana.
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