I 10 virus più pericolosi al mondo per l’uomo
Solitamente corre l’opinione secondo il quale gli animali, le piante e sopratutto gli umani in termini di numero prevalgono sul nostro pianeta, ma in realtà non è così.
Nel mondo ci sono innumerevoli microrganismi (microbi). I virus sono tra i più pericolosi, infatti possono causare varie malattie nell’uomo e negli animali.
Di seguito è riportato un elenco dei dieci virus biologici più pericolosi al mondo per l’uomo.
Virus Pericolosi
Hantavirus
Gli hantavirus sono un genere di virus che viene trasmesso all’uomo attraverso il contatto con i roditori o i loro prodotti di scarto.
Gli hantavirus causano varie malattie correlate a gruppi di malattie come la febbre emorragica con sindrome renale (mortalità in media 12%) e sindrome cardiopolmonare hantavirus (mortalità fino al 36%).
Il primo grave focolaio causato da hantavirus e noto come “febbre emorragica coreana” si è verificato durante la guerra di Corea (1950-1953).
Più di 3000 soldati americani e coreani avvertirono gli effetti di un virus sconosciuto a quel tempo, che causò sanguinamento interno e compromissione della funzionalità renale.
È interessante notare che questo particolare virus è considerato la probabile causa dell’epidemia nel XVI secolo, che ha sterminato il popolo azteco.
Sintomatologia
L’incubazione è di circa 2 settimane.
Nelle forme lievi, l’infezione è spesso asintomatica.
Nelle varianti sintomatiche della febbre emorragica con sindrome renale, l’esordio è improvviso, con febbre elevata, cefalea, lombalgia e dolori addominali.
Sono presenti bradicardia relativa e ipotensione transitoria in circa metà dei pazienti, con evoluzione in shock in una minoranza di casi. Dopo il 4o die, si sviluppa insufficienza renale.
Circa il 20% dei soggetti diventano obnubilati.
Convulsioni o gravi manifestazioni neurologiche focali si verificano nell’1% dei casi.
Regressione del rash, i pazienti sviluppano poliuria e guariscono nel giro di diverse settimane. Possono svilupparsi proteinuria, ematuria e piuria; può verificarsi insufficienza renale.
Prognosi
Il decesso può verificarsi durante la fase poliurica per deplezione di volume, squilibri elettrolitici o infezioni secondarie. La ripresa in genere richiede 3-6 settimane, talora fino a 6 mesi.
La mortalità globale è del 6-15%, quasi sempre si verifica in pazienti con le forme più gravi. La disfunzione renale residua è rara, tranne che nelle forme gravi diffuse nei Balcani.
Virus dell’influenza
Il virus dell’influenza è un virus che provoca un’infezione respiratoria acuta nell’uomo.
Attualmente, ne esistono più di 2 mila varianti, classificate in base a tre sierotipi A, B, C.
Il gruppo di virus del sierotipo è diviso in ceppi (H1N1, H2N2, H3N2, ecc.) è il più pericoloso per l’uomo e può portare a epidemie e pandemie.
Ogni anno muoiono da 250 a 500 mila persone a causa di epidemie di influenza stagionale nel mondo (la maggior parte sono bambini di età inferiore ai 2 anni e persone di età superiore ai 65 anni).
Ultimamente si è diffuso un nuovo virus ( COVID19) influenzale appartenente alla famiglia dei coronavirus, che rischia di far esplodere una vera e propria pandemia.
Coronavirus
I coronavirus (CoV) sono un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare malattie da lievi a moderate, dal comune raffreddore a sindromi respiratorie come la MERS (sindrome respiratoria mediorientale, Middle East respiratory syndrome) e la SARS (sindrome respiratoria acuta grave, Severe acute respiratory syndrome).
Sono chiamati così per le punte a forma di corona che sono presenti sulla loro superficie.
I coronavirus sono comuni in molte specie animali (come i cammelli e i pipistrelli) ma in alcuni casi, se pur raramente, possono evolversi e infettare l’uomo per poi diffondersi nella popolazione.
Il nuovo coronavirus COVID19 è un nuovo ceppo di coronavirus che non è stato precedentemente mai identificato nell’uomo.
In particolare quello denominato provvisoriamente all’inizio dell’epidemia 2019-nCoV, non è mai stato identificato prima di essere segnalato a Wuhan, Cina a dicembre 2019.
Nella prima metà del mese di febbraio l’International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV), che si occupa della designazione e della denominazione dei virus (ovvero specie, genere, famiglia, ecc.), ha assegnato al nuovo coronavirus il nome definitivo:
“Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2” (SARS-CoV-2).
Ad indicare il nuovo nome sono stati un gruppo di esperti appositamente incaricati di studiare il nuovo ceppo di coronavirus. Secondo questo pool di scienziati il nuovo coronavirus è fratello di quello che ha provocato la Sars (SARS-CoVs), da qui il nome scelto di SARS-CoV-2.
Il nuovo nome del virus (SARS-Cov-2) sostituisce quello precedente (2019-nCoV).
Sempre nella prima metà del mese di febbraio (precisamente l’11 febbraio) l’OMS ha annunciato che la malattia respiratoria causata dal nuovo coronavirus è stata chiamata COVID-19.
Sintomi
I sintomi più comuni di un’infezione da coronavirus nell’uomo includono febbre, tosse, difficoltà respiratorie.
Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte. In particolare:
I coronavirus umani comuni di solito causano malattie del tratto respiratorio superiore da lievi a moderate, come il comune raffreddore, che durano per un breve periodo di tempo. I sintomi possono includere:
naso che cola
mal di testa
tosse
gola infiammata
febbre
una sensazione generale di malessere.
Marburg virus
Il virus Marburg è un pericoloso virus umano, descritto per la prima volta nel 1967 durante piccoli focolai nelle città tedesche di Marburg e Francoforte.
La persona causa la febbre emorragica di Marburg (mortalità 23-50%), che viene trasmessa attraverso sangue, feci, saliva e vomito.
Il serbatoio naturale per questo virus sono i malati, probabilmente i roditori e alcune specie di scimmie. La febbre di Marburg è una delle dieci malattie mortali trasmesse dagli animali .
Molto simile all’Ebola, appartenente alla famiglia delle Filoviridae. In entrambi i casi si tratta di agenti patogeni estremamente aggressivi che danno luogo a una malattia dalle conseguenze drammatiche e con un alto tasso di fatalità.
Se da un punto di vista virologico Marburg e Ebola sono distinti, molto più complesso è operare una distinzione dal punto di vista clinico, perché i sintomi e il decorso della malattia sono molto simili.
L’origine della malattia
(1967 durante piccoli focolai nelle città tedesche di Marburg e Francoforte)
L’origine fu riscontrata, in quel caso, nell’importazione di scimmie dall’Uganda, che contagiarono ricercatori in alcuni laboratori.
Ci furono 25 infezioni primarie con 7 morti. Il virus riapparve poi nel 1975 in Sudafrica, nel 1980 e nel 1987 in Kenya, con pochissimi casi subito isolati.
Epidemie più violente si sono registrate invece tra il 1998 e il 2000 nella Repubblica democratica del Congo e nel 2004 in Angola, con più di un centinaio di morti.
Sintomi e trasmissione
La malattia si manifesta in modo improvviso e rapido con forte mal di testa, dolori muscolari e un acuto stato di malessere. Il primo giorno compare una febbre alta e il malato va incontro a una rapida debilitazione.
Verso il terzo giorno compaiono dolori addominali e crampi, diarrea acquosa che può durare anche per una settimana, nausea e vomito.
In molti casi, tra il quinto e il settimo giorno, il malato ha delle emorragie da diverse parti del corpo, che spesso portano a morte.
In tutto questo periodo il paziente mantiene una elevata temperatura, il virus attacca anche gli organi interni e il sistema nervoso causando stato di confusione, irritabilità, aggressività, perdita di peso, stati di delirio, shock, insufficienza epatica.
Nei casi fatali, la morte sopraggiunge nell’arco di 8-9 giorni.
Il virus colpisce persone di tutte le età, anche se la maggior parte dei casi è stata registrata sugli adulti (nel corso dell’epidemia del Congo, i bambini sotto i 5 anni di età rappresentavano il 12%).
Il contagio avviene per trasmissione diretta del virus da persona a persona, per contatto con i fluidi corporali, il sangue, l’urina, il vomito ma anche le secrezioni respiratorie. Non sembra invece essere molto efficace la trasmissione via aerosol.
Rotavirus
La gastroenterite da Rotavirus è una malattia diffusa in tutto il mondo.
In Europa e nel resto delle zone temperate del pianeta, il virus si presenta con picchi di incidenza stagionale che, alle nostre latitudini, si verificano nel periodo invernale tra novembre e marzo.
Nei Paesi tropicali si possono verificare picchi di incidenza, ma il virus è presente sostanzialmente tutto l’anno.
Il rotavirus è la causa più comune di gastroenteriti virali fra i neonati e i bambini sotto i 5 anni. In particolare, nei bambini molto piccoli il virus può causare una diarrea grave con disidratazione.
La maggior parte delle infezioni è causata dai ceppi del gruppo A (in misura assai minore da quelli del gruppo B e C).
Nel 2013, si stima che a causa del rotavirus in tutto il mondo siano morti 200 mila bambini. Attualmente si contano globalmente 500-600 morti al giorno che l’Oms considera una vera e propria emergenza sanitaria.
Trasmissione
La principale via di trasmissione del virus è quella oro-fecale, ed è possibile la diffusione per contatto e per via respiratoria.
Poiché il virus è stabile nell’ambiente, la trasmissione può avvenire attraverso l’ingestione di acqua o cibo contaminato o a causa del contatto con superfici contaminate (come i giocattoli).
La diffusione da persona a persona attraverso la contaminazione delle mani è probabilmente la più diffusa negli ambienti comunitari, in particolare negli asili nido.
La malattia ha un periodo di incubazione di circa due giorni, dopo i quali insorgono vomito e diarrea acquosa per 3-7 giorni.
Rischia di essere grave o letale senza un intervento adeguato.
Ebola
Il virus Ebola è un genere di virus che causa la febbre emorragica da Ebola.
Fu scoperto per la prima volta nel 1976 durante uno scoppio nel bacino del fiume Ebola (da cui il nome del virus) nello Zaire, nella Repubblica Democratica del Congo.
È trasmesso dal contatto diretto con sangue, secrezioni, altri liquidi e organi di una persona infetta.
L’ebola è caratterizzata da un improvviso aumento della temperatura corporea, grave debolezza generale, muscoli e mal di testa e mal di gola.
Spesso accompagnato da vomito, diarrea, eruzione cutanea, compromissione della funzionalità renale ed epatica e in alcuni casi sanguinamento interno ed esterno.
Secondo il Centro di controllo delle malattie degli Stati Uniti, per il 2015, 30.939 persone sono state infettate dall’Ebola, di cui 12.910 (42%) sono morte.
Come riportato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), i virus ad Rna del genere Ebola fanno parte della famiglia dei Filoviridae (filovirus). A questa famiglia appartengono anche il genere Marburgvirus e il genere Cuevavirus.
Sono stati identificati sei diverse specie di virus ebola:
- Bundibugyo ebolavirus (BDBV)
- Zaire ebolavirus (EBOV)
- Reston ebolavirus (RESTV)
- Sudan ebolavirus (SUDY)
- Taї Forest ebolavirus (TAFV)
- Bombali ebolavirus (BOMV).
Solo Bdbv, Ebov e Sudv sono stati associati a grandi epidemie da EVD in Africa.
Diagnosi
La diagnosi clinica è difficile nei primissimi giorni, a causa dell’aspecificità dei sintomi iniziali.
Può essere facilitata dal contesto in cui si verifica il caso (area geografica di insorgenza o di contagio) e dal carattere epidemico della malattia.
Anche in caso di semplice sospetto, è opportuno l’isolamento del paziente e la notifica alle autorità sanitarie.
Virus della Dengue
Virus della dengue – uno dei virus biologici più pericolosi per l’uomo, che causa la febbre Dengue (DF), nei casi più gravi, la cui mortalità è di circa il 50%.
La malattia è caratterizzata da febbre, intossicazione, mialgia, artralgia, eruzione cutanea e linfonodi ingrossati. Si verifica principalmente nei paesi del sud e sud-est asiatico, Africa, Oceania e Caraibi, dove circa 50 milioni di persone vengono infettate ogni anno. I portatori del virus sono una persona malata, scimmie, zanzare e pipistrelli.
Dati epidemiologici
La febbre emorragica virale è causata da oltre 25 virus diversi.Il virus dengue appartiene alla famiglia dei virus Flaviviridae, genere Flavivirus.
Sono stati individuati quattro diversi sierotipi, caratterizzati da una significativa eterogeneità legata al ceppo.
I serbatoi del virus sono gli uomini, che si trasmettono il virus attraverso la puntura delle zanzare infette, in particolare l’Aedes aegypti, ma anche l’Aedes albopictus. Non è stata mai segnalata la trasmissione uomo-uomo.
La DF è presente nelle zone tropicali di tutto il mondo, in particolare nell’Asia sudorientale, nella regione del Pacifico, e nelle Americhe.Il 40% della popolazione mondiale è a rischio di contagio. A livello mondiale si stimano ogni anno 50-100 milioni di casi di DF, 500.000 ricoveri e 20.000 morti.
Descrizione clinica
La maggior parte delle infezioni da virus dengue provoca la DF, che si caratterizza per la comparsa improvvisa di febbre, malessere, cefalea (tipicamente retro-orbitale), e mialgia/artralgia, spesso seguiti da rash petecchiale, che può essere pruriginoso.Nella maggior parte dei casi, i sintomi si risolvono in 7 giorni senza ulteriori complicazioni.
Tuttavia, in una piccola parte di pazienti, dopo un breve periodo di defervescenza, fa seguito un peggioramento dei sintomi addominali (dolore, nausea, vomito, diarrea), la comparsa di trombocitopenia, emorragie (DHF: epistassi, sanguinamento gengivale, emorragia gastrointestinale) ed elevata permeabilità capillare (DSS: emoconcentrazione, ipoalbuminemia, versamento pleurico, shock).
Le DHF/DSS si manifestano soprattutto nei bambini prima dei 15 anni.
Il rischio aumenta in presenza di un’infezione eterologa secondaria causata da uno dei quattro sierotipi del virus dengue. Tuttavia, le forme gravi sono state osservate anche nelle infezioni primarie.
Vaiolo
Il virus del vaiolo è un virus complesso, l’agente causale di una malattia altamente infettiva con lo stesso nome che colpisce solo l’uomo.
Questa è una delle malattie più antiche, i cui sintomi sono brividi, dolore nell’osso sacro e nella parte bassa della schiena, febbre rapida, vertigini, mal di testa e vomito.
Il secondo giorno, appare un’eruzione cutanea, che alla fine si trasforma in vescicole purulente.
Nel 20 ° secolo, questo virus ha causato la morte di 300-500 milioni di persone.
Sono stati spesi circa 198 milioni di dollari USA nella campagna per il vaiolo dal 1967 al 1979 (equivalenti a $ 1,2 miliardi nel 2010).
Fortunatamente, l’ultimo caso noto di infezione è stato segnalato il 26 ottobre 1977 nella città somala di Mark.
Trasmissione e sviluppo della malattia
Ci sono due forme cliniche di vaiolo. La più comune è quella causata dal virus Variola major che si manifesta con febbri elevate e con la comparsa di pustole ulceranti su tutto il corpo.
Esistono quattro tipi di vaiolo di questo genere: quello ordinario (più del 90% dei casi), una forma lieve che a volte si sviluppa su persone preventivamente vaccinate, quello piatto (detto anche maligno) e quello emorragico, raro ma molto grave.
Meno pericoloso, con una mortalità sotto l’1%, è la forma di vaiolo causata dal virus Variola minor.
Il virus del vaiolo è stato a contatto con le popolazioni umane da migliaia di anni, ma in natura non esiste più.
Le epidemie di vaiolo hanno sempre generato terrore tra le popolazioni, non solo per l’elevata mortalità ma anche perché i sopravvissuti rimanevano sfigurati a vita, ricoperti di cicatrici.
Il contagio avveniva per contatto diretto tra le persone oppure tramite i liquidi corporali infetti o gli oggetti personali contaminati come abiti o lenzuola.
Un comune veicolo di contagio erano la saliva o le escrezioni nasofaringee delle persone malate che mettevano a rischio chiunque fosse vicino.
Periodo di incubazione
Il periodo di incubazione della malattia, durante il quale non si manifestano sintomi, dura da 7 a 17 giorni.
In questo periodo raramente avviene contagio, che invece comincia alla comparsa dei primi sintomi (febbre, malessere, emicrania, dolori muscolari e talvolta vomito).
Questa fase può durare da 2 a 4 giorni ed è caratterizzata da alte temperature.
Successivamente compare una eruzione cutanea molto caratteristica, consistente in piccole macchie rosse, ed è questo il periodo in cui i malati sono più contagiosi.
La comparsa delle macchie può durare circa 4 giorni e comincia dalla lingua e dalla bocca.
Quando le macchie della bocca si infettano diventando vere e proprie ulcere, nuove eruzioni cutanee interessano tutta la pelle, a partire dalla faccia fino alle braccia, le gambe e poi le mani e i piedi.
Solitamente l’intero corpo viene ricoperto di macchie nel giro di 24 ore.
Quando compare l’eruzione cutanea le febbre scende e la persona comincia a sentirsi meglio. Nel giro di 3 giorni, però, le macchie si trasformano in vescicole purulente.
Contemporaneamente la temperatura sale di nuovo e rimane alta finché le pustole non cicatrizzano, diventando crosticine che cominciano a squamarsi e si staccano.
Nel giro di 3 o 4 settimane dalla comparsa dei sintomi, la maggior parte delle pustole si è seccata e comincia a staccarsi dalla pelle, lasciando su di essa una cicatrice profonda, nota come butteratura.
La fase di contagio cessa con la caduta di tutte le crosticine.
Rabbia
Il virus della rabbia è una specie di virus neurotropo a singolo filamento negativo di RNA, appartenente al genere Lyssavirus, famiglia Rhabdoviridae, ordine Mononegavirales, agente eziologico della rabbia, una malattia infettiva mortale per gli uomini e per numerosi animali.
Questo virus estremamente pericoloso che provoca rabbia nell’uomo e negli animali a sangue caldo, in cui si verifica una lesione specifica del sistema nervoso centrale.
Questa malattia viene trasmessa con la saliva quando viene morsa da un animale infetto.
È accompagnato da un aumento della temperatura a 37,2-37,3, un sonno scarso, i pazienti diventano aggressivi, violenti, allucinazioni, delirio, appare una sensazione di paura, paralisi dei muscoli oculari, estremità inferiori, disturbi respiratori paralitici e presto la morte.
I primi segni della malattia si verificano in ritardo, quando sono già avvenuti processi distruttivi nel cervello (edema, emorragia, degradazione delle cellule nervose), il che rende quasi impossibile il trattamento.
Ad oggi, sono stati registrati solo tre casi di recupero umano senza vaccinazione, tutti gli altri sono finiti con la morte.
Virus Lassa
Il virus Lassa è un virus mortale che causa la febbre Lassa nell’uomo e nei primati.
La malattia è stata scoperta per la prima volta nel 1969 nella città nigeriana di Lassa.
La febbre di Lassa fa parte del gruppo delle febbri emorragiche virali (Fev), patologie di origine virale a carattere sistemico, caratterizzate da esordio improvviso, acuto e spesso accompagnate da manifestazioni emorragiche.
In generale, gli agenti responsabili delle Fev sono virus a Rna (arenavirus, bunyavirus, filovirus, flavivirus), la cui sopravvivenza è garantita da serbatoi naturali come animali o insetti. I virus sono confinati geograficamente nelle aree dove vivono le specie ospiti.
La febbre di Lassa prende il nome dalla città nigeriana in cui, nel 1969, due infermiere missionarie morirono a causa di questa malattia, fino a quel momento sconosciuta. L’agente eziologico è un virus a Rna appartenente alla famiglia degli Arenaviridae, diffuso prevalentemente in Africa, il cui serbatoio principale sono i roditori Mastomys.
Modalità di trasmissione
Come per tutte le febbri emorragiche, gli uomini non sono serbatoi naturali per il virus, ma possono essere infettati attraverso il contatto con animali infetti o artropodi vettori.
La febbre di Lassa è trasmessa dal contatto diretto con escreti di roditori o tramite aerosol di escreti e saliva dei roditori.
In alcuni casi, dopo la trasmissione accidentale, può avvenire la trasmissione da uomo a uomo, per contatto diretto con sangue, tessuti, secrezioni o escreti di persone infette, soprattutto in ambito familiare e nosocomiale.
Sintomi
Nell’80% dei casi, la febbre di Lassa è una patologia lieve o addirittura asintomatica, ma può presentarsi come malattia sistemica grave nel restante 20%.
A differenza delle altre Fev, l’esordio della febbre di Lassa è graduale e il periodo di incubazione può arrivare anche a 3 settimane (contro una media di 1-9 giorni per le altre).
I sintomi iniziali sono piuttosto generici: febbre, cefalea, mialgie, faringodinia con essudato tonsillare, difficoltà ad alimentarsi (disfagia), tosse secca, dolore toracico (a volte forte dolore retrosternale), crampi addominali, nausea, vomito e diarrea.
Il peggioramento delle condizioni cliniche si manifesta con edema del volto e del collo, insufficienza respiratoria, versamento pleurico e pericardico, proteinuria, encefalopatia, sanguinamento delle mucose.
Ipotensione e shock si possono verificare indipendentemente dal sanguinamento. Durante la convalescenza si può manifestare ipoacusia. Il tasso di letalità complessivo è inferiore al 1%, mentre sale al 15-20% nei casi non trattati.
Hiv
Riportata per la prima volta in letteratura nel 1981, la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita, altrimenti nota come AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome), rappresenta lo stadio clinico terminale dell’infezione causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV, Human Immunodeficiency Virus).
L’HIV è un virus a RNA che appartiene a una particolare famiglia virale, quella dei retrovirus, dotata di un meccanismo replicativo assolutamente unico.
Grazie a uno specifico enzima, la trascrittasi inversa, i retrovirus sono in grado di trasformare il proprio patrimonio genetico a RNA in un doppio filamento di DNA.
Questo va ad inserirsi nel DNA della cellula infettata (detta “cellula ospite” o “cellula bersaglio”) e da lì dirige la produzione di nuove particelle virali.
Le principali cellule bersaglio dell’HIV sono particolari cellule del sistema immunitario, i linfociti T di tipo CD4, fondamentali nella risposta adattativa contro svariati tipi di agenti patogeni e oncogeni.
L’infezione da HIV provoca, quindi, un indebolimento progressivo del sistema immunitario (immunodepressione), aumentando il rischio sia di tumori che di infezioni da parte di virus, batteri, protozoi e funghi.
Fasi della malattia
Una persona, dopo essere entrata in contatto con l’HIV, diventa sieropositiva al test per l’HIV.
La sieropositività implica che l’infezione è in atto e che è dunque possibile trasmettere il virus ad altre persone.
Tra il momento del contagio e la positivizzazione del test HIV intercorre un periodo, detto “periodo finestra”, che può durare qualche settimana e durante il quale, anche se la persona risulta ancora negativa al test, è comunque già in grado di trasmettere l’infezione.
Dopo il contagio è possibile vivere per anni senza alcun sintomo e accorgersi dell’infezione solo al manifestarsi di una malattia.
Tuttavia, il test HIV è positivo anche in assenza di sintomi; sottoporsi al test è, quindi, l’unico modo per scoprire l’infezione.
Questo periodo asintomatico può durare anche diversi anni, fino a quando la malattia non diventa clinicamente conclamata a causa dell’insorgenza di una o più malattie cosiddette “indicative di Aids”.
Alcune di queste sono infezioni opportunistiche provocate da agenti patogeni che normalmente non infettano le persone sane, ma possono infettare persone con un sistema immunitario fortemente compromesso. Gli agenti principali sono:
- protozoi, tra cui lo Pneumocystis carinii, responsabile di una particolare forma di polmonite detta pneumocistosi, e il Toxoplasma gondii, che provoca la toxoplasmosi, malattia che colpisce il cervello, l’occhio e raramente il polmone
- batteri, soprattutto Mycobacterium tuberculosis, responsabile della tubercolosi
- virus, tra cui l’Herpes simplex e il Cytomegalovirus
- funghi, come per esempio la Candida albicans, che può interessare varie parti del corpo, soprattutto bocca, esofago e polmoni.
Fra le malattie indicative di Aids sono compresi anche diversi tipi di tumori, soprattutto i linfomi, il sarcoma di Kaposi e il carcinoma del collo dell’utero.
Vie di trasmissione
Esistono tre diverse vie di trasmissione dell’HIV: ematica, materno-fetale e sessuale.
- La trasmissione per via ematica avviene attraverso trasfusioni di sangue infetto o attraverso lo scambio di siringhe infette.
- La trasmissione da madre a figlio, detta trasmissione verticale, può avvenire durante la gravidanza, durante il parto o con l’allattamento. Il rischio per una donna sieropositiva di trasmettere l’infezione al feto è circa del 20%.
- La trasmissione per via sessuale è nel mondo la modalità di trasmissione più diffusa dell’infezione da HIV. I rapporti sessuali, sia di tipo eterosessuale che omosessuale, non protetti dal preservativo, possono essere causa di trasmissione dell’infezione.
Tutte le immagini di questo articolo, sono state prese dal web ai fini illustrativi.
Fonte: Portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica a cura dell’Istituto Superiore di Sanità
web site: BorderlineZ