Nuova monetizzazione Facebook: evoluzione o strategia al limite della truffa?
Negli ultimi mesi il dibattito attorno alla monetizzazione dei contenuti su Facebook ha assunto toni sempre più accesi. Non si tratta di una semplice polemica passeggera, né di lamentele isolate da parte di creator occasionali: ciò che sta emergendo con forza è una sensazione diffusa di rottura del patto di fiducia tra la piattaforma e chi, per anni, ha alimentato il suo ecosistema con contenuti originali, tempo, competenze e investimenti personali.

Molti creator – piccoli, medi e persino alcuni con numeri importanti – parlano apertamente di crolli improvvisi dei guadagni, spesso superiori al 70–90%, verificatisi subito dopo l’introduzione della cosiddetta nuova monetizzazione unificata. Calo che, ed è questo il punto più controverso, non sembra correlato a un peggioramento dei contenuti, né a violazioni evidenti delle policy.
Facebook, dal canto suo, respinge con decisione qualsiasi accusa e sostiene che il nuovo sistema sia progettato per “premiare la qualità”, “valorizzare i creator migliori” e “ridurre gli abusi legati a contenuti non originali o riciclati”. Dichiarazioni che, sulla carta, appaiono condivisibili. Tuttavia, nella pratica, il quadro che emerge è molto più opaco e problematico.
Questo articolo non ha l’obiettivo di alimentare teorie strane e infondate, ma di analizzare razionalmente una dinamica economica e strategica che presenta numerosi elementi critici, tali da far sorgere una domanda legittima:
la nuova monetizzazione di Facebook è davvero un’evoluzione meritocratica o una sofisticata strategia per ridurre drasticamente i pagamenti ai creator?
Dal “sogno creator” alla dipendenza economica dalla piattaforma
Per comprendere la portata del problema, è necessario fare un passo indietro. Facebook, soprattutto negli anni successivi al boom di YouTube e TikTok, ha investito molto nella narrazione del creator economy dream: chiunque, creando contenuti originali e di qualità, avrebbe potuto costruire una rendita attraverso visualizzazioni, engagement e fedeltà del pubblico.
Molti creator hanno creduto in questa promessa. Hanno costruito pagine tematiche verticali, prodotto video originali, investito in attrezzature, montaggio, grafiche, rinunciato ad altre piattaforme per concentrarsi su Facebook, adattato format, linguaggi e tempi alle richieste dell’algoritmo.
In altre parole, hanno lavorato come veri e propri fornitori di contenuti, senza tutele, senza contratti, ma con la convinzione che il sistema di monetizzazione – seppur instabile – seguisse una logica prevedibile.
La nuova monetizzazione rompe bruscamente questa aspettativa.
Il dato che non può essere ignorato: crolli fino al 90%
Uno degli elementi più allarmanti, ormai documentato da migliaia di testimonianze pubbliche (gruppi, forum, commenti ufficiali, creator community), è la drastica riduzione dei guadagni, spesso immediata e senza preavviso.
Parliamo di casi in cui: i numeri di visualizzazioni restano invariati o diminuiscono solo leggermente, l’engagement (commenti, condivisioni, tempo di visualizzazione) è stabile, i contenuti sono dichiaratamente originali e non risultano violazioni attive o avvisi penalizzanti.
Eppure, gli introiti crollano. In molti casi da centinaia di euro al mese a poche decine, da migliaia a poche centinaia con RPM (ricavi per mille visualizzazioni) ridotti a livelli quasi simbolici.
Questo è un fatto, non un’opinione. Il punto non è che Facebook non possa modificare i criteri di monetizzazione, ma come lo fa e con quale grado di trasparenza.
La posizione ufficiale di Facebook: “premiamo solo i migliori”
Meta ha chiarito che il nuovo sistema di monetizzazione unificata integra: performance del contenuto, qualità percepita, originalità, comportamento complessivo della pagina e gradimento degli inserzionisti.
In teoria, un sistema più sofisticato dovrebbe essere anche più meritocratico. Il problema è che:
- i criteri non sono spiegati in modo verificabile,
- non esiste un feedback operativo reale per capire cosa migliorare,
- le penalizzazioni non sono tracciabili,
- le revisioni manuali sono spesso automatiche o inutili.
Dire “premiamo i migliori” senza fornire metriche chiare equivale a chiedere ai creator di lavorare al buio, sperando di piacere a un algoritmo che cambia continuamente e non comunica.
Originalità dei contenuti: concetto nobile, applicazione ambigua
Uno degli argomenti principali usati da Facebook per giustificare il taglio delle monetizzazioni è la lotta ai contenuti non originali: repost, compilation, materiali riciclati, uso improprio di clip altrui.
Su questo punto, nulla da obiettare in linea di principio. Tuttavia, nella pratica emergono enormi contraddizioni: contenuti completamente originali vengono penalizzati, format informativi o divulgativi vengono considerati “derivati”, contenuti con voice-over originale su immagini stock subiscono cali improvvisi, pagine storiche, con anni di attività coerente, vengono trattate come nuove o sospette.
Il problema non è la lotta al contenuto rubato, ma la definizione estremamente elastica di “non originale”, che rischia di colpire proprio chi lavora in modo serio.
L’asimmetria di potere: Facebook decide, il creator subisce
Dal punto di vista economico, la situazione è chiara: Facebook non è un partner del creator, è un intermediario dominante, che: controlla inequivocabilmente la distribuzione, controlla la visibilità, controlla la monetizzazione, controlla le regole e sappiamo tutti che controlla anche il flusso informativo.
Il creator, invece: non conosce i criteri decisionali, non ha strumenti di ricorso efficaci, non può prevedere i guadagni futuri.
In questo contesto, ridurre drasticamente i pagamenti non è illegalmente una truffa, ma può assumere le caratteristiche di una pratica economicamente aggressiva e borderline, soprattutto quando: avviene senza spiegazioni chiare, colpisce masse di creator contemporaneamente, non distingue adeguatamente tra qualità e abuso.
Una strategia economica razionale (per Meta)
Dal punto di vista aziendale, la mossa è comprensibile. Facebook deve:
- ridurre i costi,
- migliorare i margini,
- rassicurare gli inserzionisti,
- contrastare TikTok e YouTube,
- evitare di finanziare ecosistemi di contenuto poco controllabili.
Ridurre del 90% i pagamenti a migliaia di creator non distrugge la piattaforma, perché:
- molti continueranno a pubblicare per visibilità;
- altri sperano in un “ritorno alla normalità”;
- il flusso di contenuti non si interrompe.
Ma dal punto di vista etico e strategico a lungo termine, questa scelta logora il rapporto di fiducia.
La trasparenza come grande assente
Uno degli aspetti più criticati è la mancanza di trasparenza sistemica. Oggi un creator spesso e volentieri non sa con esattezza: perché guadagna meno, quale contenuto è stato penalizzato, se la penalizzazione è temporanea o definitiva, se conviene continuare o cambiare piattaforma.
Quando una piattaforma chiede professionalità ai creator ma non offre chiarezza minima, il rischio è che venga percepita come opaca, manipolatoria e poco affidabile. Ed è esattamente ciò che sta accadendo.
Sempre più creator parlano apertamente di burnout, demotivazione, sensazione di essere sfruttati, perdita di tempo non retribuita, mancanza di rispetto professionale.
Il punto chiave è che non si tratta di guadagni “extra”, ma spesso di entrate integrate al reddito, micro-imprese digitali e attività semi-professionali.
Quando una piattaforma taglia improvvisamente queste entrate, non colpisce un hobby, ma un ecosistema economico reale.
Conclusione: evoluzione o fine di un modello?
La nuova monetizzazione di Facebook non è, tecnicamente, una truffa. Ma presenta dinamiche che la rendono legittimamente sospetta agli occhi di chi lavora seriamente sulla piattaforma.
La sensazione dominante è che Facebook stia: alzando l’asticella in modo indefinito selezionando pochi “super-creator”, scaricando il rischio economico su tutti gli altri e quindi riducendo drasticamente i costi di monetizzazione.
Nel breve termine, la strategia può funzionare. Nel lungo periodo, però, il rischio è evidente:
una piattaforma senza creator motivati diventa solo un contenitore vuoto.
La vera domanda non è se Facebook stia pagando meno.
La vera domanda è: può una creator economy sopravvivere senza fiducia?
web site: BorderlineZ
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